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spiegò l’Auriti. Lo so che può difendersi! E se non vorrà difendersi lui....
— Ecco, ecco.... benissimo! — approvò Lando. — Anch’io con te....
— Ma no! grazie! — ricusò di nuovo, con furia di sdegno, Giulio. — Ajuto di parole, grazie! Basto io solo. Non c’era bisogno che venissi da te.
— Scusa, — disse Lando, risentito. — L’ajuto onesto.... la difesa vera, onorevole, è soltanto questa. Pagare è complicità. Roberto deve parlare; non rendersi complice del Selmi, tacendo e pagando per lui.
— E tu vuoi dunque, — domandò Giulio, — ch’egli subisca l’ignominia dell’arresto e del carcere, quand’io posso ancora risparmiargliela?
— Col denaro?
— Col denaro, col denaro, — ripetè Giulio. — Onestà, disonestà.... che mi vai dicendo adesso? Basta a me saperlo onesto, nella mia coscienza! Chi lo crederebbe più tale, domani, se oggi fosse arrestato? Chi crede più alle difese, alle parole di chi è stato in carcere? Lando, per carità, stiamo all’esperienza.... guarda soltanto a Roberto! Tu, bada bene, tu ora mi neghi l’ajuto, non per altro, ma perchè vuoi far Roberto strumento della tua vendetta!
— No, questo no! — negò energicamente Lando. — Ma non posso farmi, io, strumento della salvezza del Selmi, lo capisci? Tu m’infliggi un supplizio disumano! Io non posso, non devo subirlo! Per Roberto, tutto! Ma se Roberto è coinvolto col Selmi, e il mio ajuto può giovare a costui, no, io non posso dartelo, nè tu puoi chiedermelo!
Giulio Auriti rimase un pezzo in silenzio, assorto cupamente.
— Dunque, no? — disse poi, levando il capo e guardando negli occhi il cugino.