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— Debbo impedire che ne muoja! — gridò Giulio. — A qualunque costo! E tu devi ajutarmi, Lando; e per ajutarmi devi fare il sacrifizio di vincere ogni risentimento, ogni ragione d’odio verso un uomo che è la causa di tutta questa rovina e che io detesto e maledico come te e vorrei morto con la stessa tortura, con la stessa infamia, che infligge a noi!
Lando s’irrigidì a un tratto, aggrottò le ciglia.
— Il Selmi? — domandò. — Roberto.... col Selmi?
Giulio crollò più volte il capo; poi, in breve, concitatamente, espose la situazione del fratello e quel che si doveva fare per salvarlo, tacendo del colloquio avuto la sera avanti con S. E. il ministro D’Atri.
Ma Lando, già prevenuto, col pensiero fisso in un sol punto, dalle parole affannose del cugino non comprese altro in prina, che salvare così Roberto voleva dire salvare anche il Selmi, e che la salvezza di questo poteva ancor dipendere da quella del cugino. Guardò Giulio negli occhi, quasi ora soltanto lo vedesse innanzi a sè:
— E come? — esclamò, stupito. — Tu vieni da me, Giulio, per questo? proprio da me?
Sopraffatto da questa domanda piena di tanto stupore, Giulio si perdette per un momento e, come se l’orgasmo gli si sciogliesse dentro in un’agrezza velenosa:
— A chi.... a chi altro?... — balbettò. — Tu sai che la mia famiglia.... E poi.... ricòrdati, t’ho chiesto, entrando, un sacrifizio....
— Ma che sacrifizio! No! — gridò Lando. — Non è umano! Vieni da me per questo? Ma come! Non sai che cosa rappresenta per me quell’uomo?