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esse, a un tratto, anche quelle della cordialità verso il cugino. E s’era preparato a quel colloquio con lui come a un assalto contro un nemico. Nemico, sì, perchè Lando certamente avrebbe negato l’ajuto, sapendo che quel denaro era stato preso dal Selmi. Egli, per forza, avrebbe dovuto confessargli tutto. Ma Lando doveva anche pensare, perdio, che nè Roberto si sarebbe ridotto a prestar come un cieco di quei favori al Selmi, in ricambio d’altri favori; nè lui a chiedergli ora quell’ajuto, se la madre non avesse rinunziato all’eredità paterna! Il danaro che gli avrebbe chiesto, rappresentava in fondo una minima parte di quello lasciato sdegnosamente dalla madre al fratello maggiore; ed egli avrebbe potuto chiederlo a titolo di restituzione, data quell’orribile necessità. Il sacrificio suo nel chiederlo non sarebbe stato minore di quello di Lando nel darlo.

Ora, uscito Mauro Mortara, che gli aveva cagionato quell’improvvisa commozione col ricordo della morte eroica del padre, egli, di fronte al cugino che lo guardava turbato, in attesa ansiosa e benigna, restò per un pezzo come smarrito, in preda a un orgasmo crudele. Contrasse tutto il volto nella rabbia del cordoglio e, stringendo le mani intrecciate fin quasi a spezzarsi le dita:

— Ho bisogno di te, Lando, disse. — È per me un momento terribile, da cui solamente tu puoi liberarmi, ma.... te ne prevengo, con un grande sacrifizio anche da parte tua, morale e materiale.

Lando, confuso, perplesso, soffrendo alla vista del cugino così agitato e sconvolto, e presentendo anche dalle parole di lui la gravità di ciò che gli avrebbe chiesto, mormorò, aprendo le braccia:

— Parla.... Tutto quello che posso...

— Ah, no! — lo interruppe subito Giulio, urtato