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Roma, però, e anche in un canto, mangiato dalle mosche, posso morir contento....

Fece con la mano un gesto di noncuranza e se ne andò.


A fronte.


Tutta la notte, dopo il colloquio con Francesco D’Atri, Giulio Auriti invece di pensare a ciò che avrebbe dovuto dire al cugino per ottener l’ajuto che doveva chiedergli, prevedendolo nemico, per farsi animo all’impresa, aveva richiamato, tra un continuo incalzar di smanie rabbiose, pensieri e ragioni che non avrebbe potuto manifestargli; s’era compiaciuto nel dire a sè stesso ciò che non avrebbe potuto dire a lui; aveva voluto vedere in sè quasi un diritto a quell’ajuto.

E s’era accorto che soltanto in apparenza era stata finora cordiale la sua relazione con lui. Quanta invidia ignorata e qual rancore non gli aveva sommosso dal fondo segreto dell’anima in quella notte il bisogno!

Finora aveva pensato che la meschinità della condizione sua d’impiegato in un Ministero, nascosta con tanti sacrifizii sotto vesti signorili, non poteva avvilirlo di fronte al cugino ricco e titolato, perchè Lando doveva sapere ch’essa era conseguenza dell’altera e sdegnosa rinunzia della madre; e che, quanto alla nobiltà, non era da meno la sua, per ciò che il padre era stato. Ma ora? Compromesso indegnamente Roberto in quel turpe scandalo bancario, e costretto lui a chieder soccorso, crollavano miseramente le ragioni della sua alterezza, e con