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deva. E, per sbarazzarsene, decise di scrivere a costui una lettera, che lo rassicurasse pienamente e per cui quel matrimonio potesse aver luogo senza il suo intervento.
A Lino Apes rispose che, prima di muoversi, avrebbe voluto consultare tutti quei compagni, che tra pochi giorni dovevano passare per Roma diretti al Congresso di Reggio Emilia. Si sarebbe tenuta un’adunanza in casa sua, alla quale anche lui, Socrate, doveva prender parte. A suo carico le spese di viaggio, tanto sue, quanto quelle dei rappresentanti dei maggiori Fasci, di cui voleva un preciso ragguaglio delle condizioni, in cui si sarebbe impegnata la lotta; e se queste veramente erano favorevoli, non avrebbe esitato un momento a cimentarsi, ad arrischiar tutto, là e addio!
Due giorni dopo la spedizione di questa lettera, gli arrivò all’orecchio la notizia del salvataggio scandaloso del Selmi, tentato dal Governo. Sentì rompersene lo stomaco, e in un furioso ribollimento di sdegno decise di partir subito per dar fuoco alle polveri preparate in Sicilia. La mattina dopo, mentre parlava con Mauro Mortara della partenza imminente, gli fu annunziata la visita del cugino Giulio Auriti.
Mauro era andato due volte a casa di Roberto in via delle Colonnette, e non l’aveva trovato. Prima di partire, avrebbe voluto almeno salutarlo. Non conosceva Giulio, avendolo veduto due o tre volte soltanto da ragazzo; diede un balzo appena lo vide entrare nella stanza:
— Don Stefano! — esclamò. — Oh figlio mio! Don Stefano nelle forme.... Tutto, tutto lui! La stessa faccia.... lo stesso corpo....
Ma, notando che il giovine, nell’esagitazione a cui