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più forte sentiva il bisogno d’afferrarsi al solido fondamento della bestialità umana per sottrarsi o resistere a certi impulsi strani, a certi capricci dell’immaginazione, alle smaniose incertezze dell’intelletto. Si abbandonava allora a esercizii violenti con una freddezza, che a lui stesso talvolta incuteva raccapriccio, o a piaceri sensuali, la cui profumata e luccicante squisitezza esteriore non riusciva a nascondergli la trista volgarità.

Ma nell’inerzia si sentiva rodere; tra le smanie della forzata inazione, soffocare, tanto più in quanto si costringeva a reprimere quelle smanie per non dare alcun spettacolo di sè, mai. E mentre sorrideva, ascoltando al circolo o in qualche altro ritrovo le baggianate de’ suoi conoscenti, dondolando un piede o carezzandosi la barba, iminaginava freddamente qualche scoppio improvviso che mettesse in iscompiglio ridicolo a un tempo e spaventoso tutto quel mondo fatuo, fittizio, di cui gli pareva incredibile che gli altri sul serio potessero vivere ed appagarsi. Gli altri? E lui? Di che viveva lui? Non se ne appagava, è vero; ma che ci guadagnava a non appagarsene? Ecco, quelle smanie. Non cupidigie effimere, non appetiti da soddisfare vi trovavano i suoi sensi: ritrarsene, non gli sarebbe costato alcuno sforzo di volontà; anzi doveva sforzarsi per rimanervi, come se fosse per lui esercizio d’un dovere increscioso, condanna.

D’altro canto, non sarebbe impazzito a restar solo con sè stesso? Tanta era la mala contentezza della propria esistenza arida, senza germogli di desiderii vivi. Certe notti, rincasando oppresso dalla più cupa noja, aveva così forte l’impressione di andare a ritrovar nella solitudine del suo villino il proprio spirito che non se n’era mosso e che lo avrebbe ac-