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irresistibilmente a tradurre in azione, in realtà viva quanto leggeva; e, se aveva per le mani un libro di storia, provava un sentimento indefinibile di pena angustiosa nel veder ridotta lì in parole quella che un giorno era stata vita, ridotto in dieci o venti righe di stampa, tutte allo stesso modo interlineate con ordine preciso, quello ch’era stato movimento scomposto, rimescolio, tumulto. Buttava via il libro, con uno scatto di sdegno, e si metteva a passeggiare per la sala.

Che strana impressione gli facevano allora tutti quei libri nella prigione degli alti e ampii scaffali, che coprivano da un capo all’altro le quattro pareti! Dalle due finestre basse, che davano sul giardino, entrava il passerajo fitto, assiduo, assordante degl’innumerevoli uccelletti che ogni giorno si davan convegno sul pino là, palpitante più d’ali che di foglie. Paragonava quel fremito continuo, instancabile, quell’ebro tumulto di voci vive, con le parole racchiuse in quei libri muti, e gliene cresceva lo sdegno. Composizioni artificiose, vita fissata, rappresa in forme immutabili, costruzioni logiche, architetture mentali, induzioni, deduzioni — via! via! via!

Muoversi, vivere, non pensare!

Che angoscia, che smanie, talvolta, se si affondava nel pensiero che anch’egli, inevitabilmente, coi concetti, con le opinioni che cercava di formarsi su uomini e cose, con le finzioni che si creava, con gli affetti, coi desiderii che gli sorgevano, arrestava, fissava in sè e tutt’intorno a sè in forme determinate il flusso continuo della vita! Ma se già egli stesso, con quel suo corpo, era una forma determinata, una forma che si moveva, che poteva seguire fino a un certo punto questo flusso della vita, fino a tanto che, man mano irrigidendosi sempre più, il movimento