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corpo vivo. La fusione era mancata per colpa di coloro che avevano stimato pericolosa la fiamma e più adatto il freddo lume de’ loro intelletti accorti e calcolatori. Ma se la fiamma s’era lasciata soffocare, non era pur segno che non aveva in sè quella forza e quel calore che avrebbe dovuto avere? Che nembo di fuoco allegro e violento dalla Sicilia su su fino a Napoli! Ancora da laggiù, più tardi, la fiamma s’era spiccata per arrivar fino a Roma.... Dovunque era stata costretta ad arrestarsi, ad Aspromonte o su le balze del Trentino, era rimasto un vuoto sordo, una smembratura.

Non poteva l’Italia farsi in altro modo? Segno che non erano ancora ben maturi gli eventi, o che eran mancati in alcuni l’energia e l’ardire per secondarli. Troppi calcoli e riflessioni ombrose e tentennamenti e scrupoli e ritegni e soggezioni avevano mortificato la creazione della patria.

Che fare, adesso? Per chi vuole, sì, è sempre tempo di far bene. Ma un bene modesto, umile, paziente, Lando Laurentano sentiva che non era per lui. Gli avevano offerto, nelle ultime elezioni generali, la candidatura in uno dei collegi di Palermo: nè preghiere, nè pressioni, nè richiami alla disciplina del partito eran valsi a farlo recedere dal rifiuto. Lui, a Montecitorio, in quel momento? Meglio affogarsi in una cloaca!

Fin da giovinetto s’era nutrito di forti e severi studii, non tanto per bisogno di coltura o per passione, quanto per poter pensare e giudicare a suo modo, e serbare così, conversando con gli altri, l’indipendenza del proprio spirito.

Aveva qua, nel villino solitario di via Sommacampagna, una ricca biblioteca, ove soleva passare parecchie ore del giorno. Ma, leggendo, era tratto