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— Ah, che c’entra? io le cose le dico papali in faccia, anche a lui. E, tanto, se non le dico, mi si leggono in fronte lo stesso.... Ciascuno col sentimento suo. Ma voi dovete venire con me, perchè il padre è padrone, caro mio. Non andate di vostra volontà. Lui, com’ha cominciato, deve finire. Se si è messo per quella via, che volete farci? Ve ne verrete per un po’ di giorni a Valsanìa, a ristorarvi; vi arrabbierete un po’ con quello stolido di vostro zio don Cosmo; ma poi ci sono io, c’è il camerone del Generale, intatto, tal quale.... Entrando là, il petto.... ah! vi s’allarga e il cuore vi si fa tanto.... Voi, non so, mi parete.... Con permesso, lasciatemi sentir l’orologio.
Gli s’era accostato, gli aveva posato un orecchio sul petto, dalla parte del cuore e, ridendo furbescamente, aveva concluso:
— Ho capito! L’ora delle femmine.
Fare, non pensare!
Calmissimo e freddo in apparenza, Lando Laurentano covava dentro un dispetto cupo e amaro del tempo in cui gli era toccato in sorte di vivere; dispetto che non si sfogava mai in invettive o in rampogne, conoscendo che, quand’anche avessero trovato eco negli altri, come ne trovavan difatti quelle dei tanti malcontenti in buona o in mala fede, non avrebbero approdato a nulla.
Era, quel suo dispetto, come il fermento d’un mosto inforzato, in una botte che già sapeva di secco.
La vigna era stata vendemmiata. Tutti i pampini