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tusiasmo, di soddisfazione, alle ingenue considerazioni di Mauro su la grandezza della patria, Lando Laurentano, benchè pieno in quei giorni di sdegno e di nausea, non aveva mai replicato; aveva trattenuto il sorriso anche quando il suo caro vecchio, una di quelle sere, era entrato ad annunziargli ancor tutto esultante:
— Ho visto il Re! ho visto il Re! Oh, figlio mio, figliuccio mio.... e come me lo potevo mai credere? tutto bianco.... bianco come me.... Chi sa quanto gli costa sedere lassù! quanti pensieri! Eh, il palo è lui! c’è poco da dire: il palo che regge tutto.... E sapete? M’ha salutato! Se la carrozza andava più piano, mi buttavo in ginocchio, com’è vero Dio!
Oh sentirsi in petto per un momento quel cuore! — aveva pensato con tenerezza e con invidia Lando Laurentano. — Oh potere con. quella stessa fede, con quella stessa purezza d’intenti, nutrire un sogno, un più vasto sogno; affrontar per esso più aspre lotte e vincere, per goder poi una gioja più pura e più grande di quella!
Come per ritemprarsi, come per lavarsi lo spirito di tutte le sozzure sbomicanti in quei giorni dalla vita nazionale, si era immerso con un senso di sollievo, di ristoro, di refrigerio, nei discorsi di quel vecchio, strambi, sì, ma vero lavacro di purezza e di fede.
La sua vista, la sua presenza a Roma, in quei giorni, gli facevano apparir più sozzi, più turpi tutti coloro che della fortuna insigne d’esser nati in un momento supremo e glorioso s’erano avvantaggiati come ingordi mercanti e ladri speculatori.
Che ne sapeva, che poteva saperne quel vecchio, il quale, dopo aver dato il meglio della sua forte e ingenua natura alla patria, s’era ritratto in solitu-