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matto. Uno dei due, infatti, come a rassicurarsi, gli aveva domandato con un gesto della mano: firmare?
Sì, aveva risposto lui, col capo: or ora, dopo tutti gli altri; chè, un po’ per la mano poco avvezza, un po’ per gli occhi e sopratutto poi per la commozione, chi sa quanto tempo ci avrebbe messo!
Alla fine, rimasto solo davanti ai veterani, dopo aver raspato alla meglio sul registro, a lettera a lettera, nome, cognome e luogo di nascita:
— Ah, da Girgenti.... siciliano? — si era sentito domandare da uno di quelli, che con gli occhi aveva tenuto dietro alla penna. — Avete fatto la campagna del Sessanta?
— Eccole qua! — gli aveva risposto, gongolante, mostrando le medaglie. — E questa, del Quarantotto!
— Ah, reduce del Quarantotto.... E siete danneggiato?
— Come, danneggiato? Che vuol dire?
— Se avete la pensione dei danneggiati politici.....
Ma che pensione! Lui? Perchè la pensione? Non aveva niente, lui.... Non sapeva neppure che ci fosse, quella pensione; e se l’avesse saputo, non l’avrebbe mai chiesta. Prender danaro per quel che aveva fatto? Ma gli dovevano prima cascar le mani!
Quelli, ch’eran due piemontesi, si erano messi a ridere, guardandosi negli occhi.
Lo avevano approvato — credeva lui — sicuramente. Sì, come lo approvavano, nel villino, ogni sera, Raffaele il cameriere e Torello il servitorino, dopo la severa riprensione del padrone, che li aveva sorpresi in un momento che se lo pigliavano a godere proprio di gusto.
Alle esclamazioni di gioja, di meraviglia, di en-