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vano chiudere ora gli occhi suoi, dopo tanta grazia! Veduta Roma, avevan veduto tutto. Posta la sua firma lì, nel registro del Pantheon, alla tomba di Vittorio, poteva morire: aveva dato atto di presenza nella vita, aveva risposto a l’appello de la storia.

Che stupore! Se le era trovate davanti, così, all’improvviso, quelle colonne scure e maestose. Nel dubbio che fosse una chiesa, s’era tenuto, in prima, d’entrare per il cancello semichiuso della ringhiera, come vedeva fare a tanti. Venendo a Roma, aveva stabilito che, dalle chiese, alla larga! Rispettare Dio, sì, ma in cielo.... E non era entrato, difatti, neanche in San Pietro. In mano ai preti, lui? Maramèo! Con occhi torvi aveva guatato il Vaticano, premendo coi gomiti su i fianchi il calcio delle due pistole.

Era dunque una chiesa anche quella? Stava per domandarlo, quando gli s’era accostato un venditore di vedute di Roma: — il Pantheon.... la tomba del re....

— Là dentro?

E subito allora era entrato. Quell’occhio tondo aperto nella cupola, da cui si vedeva il cielo, l’altare di fronte lo avevano un po’ sconcertato. Dov’era la tomba del Re? Eccola lì, a destra, in alto, di bronzo.... E s’era avvicinato, timoroso; aveva veduto sotto la tomba i due veterani di guardia, con le medaglie al petto, il registro per le firme dei visitatori e, con gli occhi ridenti e invetrati di lagrime, aveva sollevato un po’ la giacca per far vedere a quelli, che aveva il diritto, lui, di firmare.

Quei due veterani non avevan compreso bene, forse, che avesse voluto dire e, vedendolo ridere e piangere insieme, lo avevan preso fors’anche per