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Roma doveva rimaner per lui, come il mare, sconfinata.
E ritornando la sera, stanco e non sazio, al villino di via Sommacampagna, ove Lando abitava, alle domande, se avesse veduto il Colosseo, il Foro, il Campidoglio:
— Ho visto, ho visto! — rispondeva in fretta. Non mi dite niente.... Ho visto!
— Anche San Pietro?
— Oh Marasantissima! Vi dico che ho visto. Non voglio saper niente! Questo.... quello.... che me n’importa? È tutto Roma!
Che gl’importava di sapere chi fosse quel cavaliere con le gambe nude e la corona in capo sul gran cavallo di bronzo in quell’alta piazza vegliata da statue in capo alla salita, dominata da una torre, porticata a destra e a sinistra? Era a Roma? dunque era un grande, certo, un eroe dell’antichità, un vittorioso, un padrone del mondo. E quella statua lì, rossa, seduta sopra la fontana, con una palla in mano? Roma: quella era Roma, col mondo in pugno, e basta.
Se per quella piazza non fosse passata di continuo tanta gente, egli si sarebbe chinato a baciar l’orlo di quella fontana, si sarebbe accostato a baciare il piedistallo di quel cavaliere con le gambe nude. E perchè s’affaccendava lassù tutta quella gente? Ma lavorava, lavorava a far più grande Roma. Si davano tutti da fare per questo. E Roma, Roma.... eccola là: di nuovo, tra poco, tutto il mondo in pugno avrebbe tenuto, così!
Era lui davvero, Mauro Mortara, a Roma? respirava proprio lui lassù quell’aria di Roma? toccava proprio lui coi piedi il suolo di Roma? vedeva lui tutte quelle grandezze? o era sogno? Ah, si pote-