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Pianto segreto.
Donna Giannetta, in accappatojo, con una graziosa cuffia di trine e di nastri in capo, aspettava intanto nella sua camera su un’ampia e bassa poltrona massiccia, di cuojo grigio, con una gamba su l’altra, tormentandosi il labbro inferiore con le dita irrequiete. Teneva gli occhi fissi acutamente alla punta della babbuccia di velluto rosso, che appariva o spariva dall’orlo della veste al lieve dondolio della gamba accavalciata.
Era la prima volta che il marito con quell’aria e con quel tono le annunziava di voler parlare con lei. Non le aveva detto mai nulla, prima, quando avrebbe avuto ragione di parlare. Che poteva più dirle, ora?
Aveva notato che, da alcuni mesi, egli era più cupo e più oppresso del solito: ma, certo, non per lei; forse, per difficoltà parlamentari. Ella non aveva mai voluto saper di politica; aveva sempre proibito assolutamente a gli amici che ne parlassero con lei o davanti a lei; non leggeva giornali, e si gloriava della sua ignoranza, si compiaceva delle risate con cui erano accolte certe sue confessioni, come ad esempio quella di non sapere chi fossero i colleghi del marito. Che ora egli volesse annunziarle, come aveva già fatto una volta, dopo il primo anno di matrimonio, che aveva in animo di lasciare il portafoglio? Oh, non le avrebbe fatto più nè caldo nè freddo, ormai....
Ma eccolo.... Subito donna Giannetta si sgruppò, si abbandonò con gli occhi chiusi su la spalliera