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gli zii, la fierezza incrollabile della madre. Come si sarebbe piegata questa a chiedere ajuto di danaro per quel debito non netto del figlio, a quel fratello? A piegarla, si sarebbe certo spezzata! Decise senz’altro di tentar lui presso Lando: lui, a costo di tutto, per risparmiare quel sacrifizio estremo alla madre.
— Che tempo?... — domandò.
— Presto.... — ripete il D’Atri. — Vedi un po’.... cinque, sei giorni....
Giulio Auriti, perduta lì per lì la nozione dell’ora, compreso già della parte che doveva sostenere, si licenziò e s’avviò in fretta, accigliato, come se dovesse subito andare in casa del cugino.
Francesco D’Atri lo seguì con gli occhi fino alla soglia dell’uscio; poi rimase perplesso, aggrondato, a stropicciarsi con una mano il dorso dell’altra, come se cercasse nella memoria ciò che gli restava da fare. A un tratto, scorse di nuovo per terra, sul rosso del tappeto, il guanto bianco, caduto di mano all’Auriti.
Quel guanto lasciato lì, gli parve il segno, che egli ormai non avrebbe potuto più allontanare del tutto da sè le cose, la gente, i pensieri, da cui si sentiva soffocare: sempre una traccia, sempre un’orma, un vestigio, ne sarebbero rimasti, risorgenti o incancellabili, come nell’incubo d’un sogno.
E come se in quel guanto si potesse scorgere una sua compromissione, Francesco D’Atri si chinò guardingo a raccattarlo con ribrezzo e se lo cacciò in tasca, furtivamente.