Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 273 — |
— Anzi, vedi? è già passato....
E lo lasciò lì solo, innanzi alla tavola.
Lando mirò i penosi atteggiamenti sguajati, le comiche acconciature, le facce disfatte dalla stanchezza de’ suoi amici, e invidiò il loro sonno e ne provò sdegno allo stesso tempo. Avevan potuto scherzare; ora potevan dormire, dimentichi che de’ disordini provocati dalle loro predicazioni a una gente oppressa da tante iniquità, ma ancor sorda e cieca, s’avvaleva ora il governo per calpestare ancora una volta quella terra, che sola, senza patti, con impeto generoso s’era data all’Italia e in premio non ne aveva avuto altro, che la miseria e l’abbandono. Potevano dormire, quei suoi amici, dimentichi del sangue di tante vittime, dimentichi dei compagni caduti in mano della polizia, che certo, domani, sarebbero stati condannati dai tribunali militari....
Si alzò anche lui; si recò alla sala d’ingresso, desideroso d’uscire all’aperto, a trarre una boccata d’aria, per liberarsi dell’angoscia che l’opprimeva, ora che il vento e la pioggia erano cessati. Ma innanzi alla porta si fermò, vinto dall’odore di antica vita che covava in quella villa, ove suo nonno era vissuto, ove con quel desolato sentimento di precarietà lasciava invano passare i suoi tristi giorni quel suo zio, ove Mauro Mortara.... Subito, al ricorda del suo vecchio, snidato da lui crudelmente, negli ultimi giorni, da quella dimora, che il culto di tanto memorie gli rendeva sacra, si scosse: più che per tutto il resto sentì dispetto e onta dell’opera sua e de’ suoi compagni per quest’ultima conseguenza ch’essa cagionava: di cacciar da Valsanìa il suo vecchio custode, colui che gli appariva da un pezzo come la più schietta incarnazione dell’antica anima