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Raccolse le dita delle mani a pigna e le scosse in aria, come a dire: “Che ce n’è più? che senso hanno?„
— Realtà d’un momento.... minchionerie....
Si alzò; s’appressò ai vetri del balcone, che da un pezzo non facevano più rumore, e si voltò al nipote:
— Senti che silenzio? — disse. — Ti dò la consolante notizia che il vento è cessato....
— Cessato? — domandò Cataldo Sclàfani, levando di scatto dalle braccia, che teneva anche lui appoggiate alla tavola, la faccia spiritata, da convalescente, col fazzoletto giallo tirato fin su le ciglia. — Bene bene.... C’imbarcheremo qua.... Buona notte!
E si ricompose a dormire.
— Così tutte le cose.... — sospirò don Cosmo, mettendosi a passeggiare per la sala; e seguitò, fermandosi di tratto in tratto: — Una sola cosa è triste, cari miei: aver capito il giuoco! Dico il giuoco di questo demoniaccio beffardo, che ciascuno di noi ha dentro e che si spassa a rappresentarci di fuori, come realtà, ciò che, poco dopo, egli stesso ci scopre come una nostra illusione, deridendoci degli affanni che per essa ci siamo dati, e deridendoci anche, come avviene a me, del non averci saputo illudere, poichè fuori di queste illusioni non c’è più altra realtà.... E dunque, non vi lagnate! Affannatevi e tormentatevi, senza pensare che tutto questo non conclude. Se non conclude, è segno che non deve concludere, e che è vano dunque cercare una conclusione. Bisogna vivere, cioè illudersi; lasciar giocare in noi il demoniaccio beffardo, finchè non si sarà stancato; e pensare che tutto questo passerà.... passerà....
Guardò in giro alla tavola e mostrò a Lando i suoi compagni addormenti.