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dal riflusso della sua sconsolata saggezza, e con quegli occhi, che pareva allontanassero e disperdessero nella vanità del tempo tutte le contingenze amare e fastidiose della vita. — Passerà, cari miei.... passerà....

I quattro giovani avevan trovato da sè la dispensa e, poichè era aperta, avevan portato di là in tavola quanto poteva servire al loro bisogno; ora, dopo il pasto e saziata la sete, facevano sforzi disperati per resistere alla stanchezza aggravatasi su le loro pàlpebre all’improvviso.

Quell’esclamazione di don Cosmo era in risposta alla rievocazione ch’essi avevano fatta, alcuni con cupa amarezza, altri con rabbioso rammarico e Lino Apes con la sua solita arguzia, degli ultimi avvenimenti tumultuosi. Guardandoli come già lontanissimi nel tempo, don Cosmo non riusciva a scorgerne più nè il senso nè lo scopo. Dal suo aspetto, agli occhi di Lando, spirava quello stesso sentimento che spira dalle cose che assistono impassibili alla fugacità delle vicende umane.

— Avete visto il leopardo?

— Sì, bello.... bello.... — brontolò l’Ingrào, cacciando il volto, deturpato dall’atra voglia di sangue, tra le braccia appoggiate su la tavola.

— Quello era un leopardo vivo!

Lino Apes spalancò gli occhi e domandò, quasi con spavento:

— Mangiava?

— Lo dico, — riprese don Cosmo, — perchè ora cari miei, è pieno di stoppa. E quella lettera di mio padre? L’avete letta? Un foglietto di carta sbiadito.... E la scrisse una mano viva, come questa mia, come la vostra.... Che cos’è ora? Quel povero pazzo l’ha messa in cornice.... Luigi Napoleone.... il colpo di Stato.... gli avvenimenti della Francia....