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dovevan dunque ritornar su, se volevano impedirgli d’andare; bisognava far presto, per non dargli tempo d’allontanarsi troppo. Ma nessun rumore veniva più dalla stanza.

Don Cosmo fe’ cenno al nipote di risalire, in silenzio. Quando furono nel primo de’ due magazzini, si fermò e disse sottovoce:

— Tanto, se vuole andare, nè tu nè io potremmo trattenerlo con la forza. Forse ritornerà, quando voi sarete partiti e gli sarà sbollita la collera.

Lando guardò quel suo vecchio zio, da lui appena conosciuto, in quel vasto magazzino, in cui il lume della candela proiettava mostruosamente ingrandite le ombre dei loro corpi, ed ebbe l’impressione che una strana realtà impensata gli s’avventasse a gli occhi all’improvviso, con la stramba inconseguenza d’un sogno. Da un pezzo non vedeva più la ragione de’ suoi atti, che gli lasciavan tutti uno strascico di rincrescimento, un amaro sapore d’avvilimento; ma ora, più che mai, di fronte alla realtà così stranamente spiccata di quel suo zio fuori della vita, in quell’antica solitaria campagna, lì davanti a lui, in quel magazzino vuoto, con quella candela in mano. Fu tentato di spengerla, come dianzi Mauro aveva spento il lume nella sua stanza, di là. Udì la voce del vento, i boati del mare: fuori era il bujo tempestoso; anche quello della sorte, che lo aspettava. Bisognava che in quel bujo, a ogni costo, assolutamente, trovasse una ragione d’agire, in cui tutte le sue smanie si quietassero, tutte le incertezze del suo intelletto cessassero dal tormentarlo. Ma quale? ma quando? ma dove?

— Passerà, — diceva poco dopo don Cosmo, con gli angoli della bocca contratti in giù, la fronte increspata come da onde di pensieri ricacciati indietro