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ciò che il Governo le ha voluto lasciare. Lo sanno tutti ormai!
Il D’Atri lo guardò, come se egli, intanto, non lo sapesse; si rizzò su la vita e, facendo viso fermo, parve lo ammonisse che non poteva permettere si desse corso, in sua presenza, a una voce così piena di scandalo.
Ma l’Auriti, smaniando, torcendosi le mani, aggiunse:
— E io.... io che riposavo tranquillo.... Ma come, Eccellenza? Io riposavo tranquillo.... c’era Lei!
Il D’Atri s’accasciò; ma subito, come se qualcosa dentro gli facesse impeto nello spirito, tornò a rizzarsi e gridò con rabbia, guardando odiosamente il giovine:
— Che c’entro io? che posso io?
— Ma come! — ripetè l’Auriti. — Il Selmi....
— Il Selmi....— ruggì Francesco D’Atri, serrando le pugna, come se avesse voluto averlo fra le unghie.
— Ma sì, lo salvino pure! — esclamò Giulio Auriti. — Per salvarlo però....
— Già! ti figuri anche tu che lo salvi io.... — disse lentamente il D’Atri, scrollando il capo con amarissimo sdegno.
— Ma il Selmi stesso, Eccellenza, — ripigliò subito, con diverso sdegno l’Auriti, — vedrà che il Selmi stesso non tollererà d’esser salvato a costo dell’assassinio morale di mio fratello. E poi, Eccellenza, se non parla lui, se tacerà Roberto, griderò io! C’è mia madre, Eccellenza! L’arresto di Roberto? Mia madre ne morrebbe! E il nostro nome?
A questo grido, il volto di Francesco D’Atri si scompose.
— Tua madre.... sì.... tua madre.... — mormorò;