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E la grossa chiave del “camerone„ venne a sbattere contro la porta che si richiudeva.
— È pazzo! è pazzo! — ripetevano al bujo Lando, don Cosmo, il Costa, cercando in tasca i fiammiferi per riaccendere il lume, mentre i compagni di Lando, storditi da quell’accoglienza nel ricovero tanto sospirato e ora finalmente raggiunto, domandavano ansimanti e perplessi:
— Ma chi è?
— Pazzo davvero?
— Ma perchè?
Riacceso il lume, i cinque fuggiaschi. Lando, Lino Apes, Bixio Bruno, Cataldo Sclàfani e l’Ingrào, apparvero come ripescati da una fiumara di fango. Cataldo Sclàfani, dalla faccia spiritata, già ispida su le gote, sul labbro e sul mento della barba che gli rispuntava, era più di tutti compassionevole: pareva un convalescente, atterrito, scappato di notte da un ospedale schiantato dalla tempesta.
Fu per un momento uno scoppiettio di brevi domande e di risposte affannose, tra esclamazioni, sospiri e sbuffi di stanchezza; e chi si scrollava, e chi pestava i piedi, e chi cercava una sedia per buttarcisi di peso.
— Inseguiti? — No, no.... — Scoperti?... — Forse!... — Ma che! no.... — Sì.... — Forse Lando.... — A piedi! E come?... — Da tre giorni! — Diluvio! diluvio!... — Ma come, dico io, senz’avvertire? senz’avvertire?
Quest’ultima esclamazione era — s’intende — di don Cosmo. L’andava ripetendo all’uno e all’altro, sforzandosi di concentrarsi nella gran confusione, che gli faceva grattar la barba su le gote, con ambo le mani.
— Dico.... dico.... Ma come?... senz’avvertire?...