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E Mauro, fremente, si precipitò dalla scala, tra il vento, sotto la pioggia furiosa.

— Dove siete? dove siete?

Alla voce del padrone i cani desistettero dall’assalto, pur seguitando ad abbajare.

— Mauro!

— Voi, qua? — gridò questi, cercando, invece dei cani, d’impedir lui ora il passo. — Qua? Voi, qua? Avete il coraggio di rifugiarvi qua coi vostri compagni d’infamia? Non vi ricevo! Andatevene! Questa è la casa di vostro Nonno! Non vi ricevo!

— Mauro, sei pazzo?

— In nome di Gerlando Laurentano, via! Andatevene! Là, da vostro padre è il rifugio per voi e pei vostri compagni, non qua! Non vi ricevo!

— Sei pazzo? Lasciami! — gridò Lando, strappandosi dalla mano di Mauro, che lo teneva afferrato per un braccio.

Sprazzò sul pianerottolo della scala un lume, che subito il vento spense. E don Cosmo, accorso col Costa, chiamò di là:

— Landino! Landino!

Questi rispose:

— Zio Cosmo! — e, rivolto ai compaghi: — Su, su, andiamo su!

— Don Landino! — gl’intimo allora Mauro con voce squarciata dall’esasperazione. — Non salite alla villa di vostro Nonno! Se voi salite, io me ne vado per sempre! Ringraziate Iddio, che vi chiamate Gerlando Laurentano! Questo solo mi tiene dal farvi fare una vampa, a voi e a codeste carogne, sacchi di merda, che avete accanto! Ah sì? salite? Un fulmine, Dio, che la dirocchi e vi schiacci tutti quanti! Aspettate, ecco qua, tenete, compite la vostra prodezza! Vi consegno la chiave!