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nemici della patria. Perchè la Sicilia non doveva essere disonorata, no, no, non doveva essere disonorata di fronte alle altre regioni d’Italia, che si erano unite a farla grande e gloriosa!
Il giorno appresso, con l’enorme berretto villoso in capo, tutto affagottato e imbottito di carte e di reliquie, le quattro medaglie al petto, lo zàino dietro le spalle e armato fino ai denti, s’era presentato a don Cosmo per licenziarsi. E sarebbe partito senza dubbio, se insieme con don Cosmo non si fosse adoperato in tutti i modi a trattenerlo don Leonardo Costa, sopravvenuto da Porto Empedocle.
Licenziatosi dal Salvo, dopo la morte del figlio, e ricaduto nella misera e incerta condizione di sorvegliante alle stadere, Leonardo Costa aveva accettato, più per non vedersi solo, che per altro, l’offerta pietosa di don Cosmo, di venire ogni sera da Porto Empedocle a cenare e a dormire a Valsanìa. Il cammino non era breve, nè facile, al bujo, le sere senza luna, per quella stradella ferroviaria, ingombra e irta di brecce. Dopo la sciagura, una stanchezza mortale gli aveva reso le gambe gravi, come di piombo. Più volte s’era veduto venire incontro minaccioso il treno; più volte aveva avuto la tentazione di buttarcisi sotto e finirla. Quando giù alla marina non trovava lavoro, se ne risaliva presto alla campagna, e per suo mezzo, da un po’ di tempo, le notizie a Valsanìa arrivavano senza ritardo.
Se, quel giorno, non avesse recato quella de lo sbarco a Palermo del corpo d’armata, che in un batter d’occhio avrebbe certamente domato e spazzato la rivolta, nè lui nè don Cosmo sarebbero riusciti a trattener Mauro con la forza.
A calmarlo ancor più, era poi venuta la notizia della proclamazione dello stato d’assedio e del di-