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con la forza quei fasci, cacciarne via tutti quei cani a fucilate, se occorreva. Certo c’erano i preti, sotto, che fomentavano; e anche la Francia, anche la Francia dicevano che mandava denari, sottomano, per smembrare l’Italia e rimettere in trono, a Roma, il papa. E chi sa, che, scoppiata la rivoluzione, non volesse sbarcar da Tunisi in Sicilia? Come rimaner lì con le mani in mano, senza nemmeno tentare una difesa, senza nemmeno farsi vedere dagli antichi compagni e dir loro: — Son qua? — Bisognava partire, partir subito!
Se non che, a poco a poco, quella sua furia s’era trovata impigliata, come in una ragna, dalle tante reliquie della sua vita avventurosa, esumate da vecchie casse e cassette e sacche logore e rattoppate e involti di carta ingiallita, strettamente legati con lo spago. Avrebbe voluto farne uno scarto e portarsene addosso quante più poteva tra le più care. Confuso, stordito, frastornato dai ricordi risorgenti da ognuna, a un certo punto s’era sentito fumar la testa e aveva dovuto smettere. No, non era possibile liberarsi con tanta precipitazione da tutti quei legami. E aveva rimandato la partenza al giorno appresso.
Tutta la notte era stato fuori, per la campagna, farneticando. La voce del mare era quella del Generale; le ombre degli alberi erano quelle degli antichi congiurati di Valsanìa; e quella e queste seguitavano a incitarlo a partire. Sì, domani, domani: sarebbe andato incontro a quegli assassini; lo avrebbero sopraffatto e ucciso; ma sì, questo voleva, se la distruzione doveva compiersi! Che valore avrebbero più avuto, altrimenti, le sue medaglie? Bisognava morire per esse e con esse! E se le sarebbe appese al petto, domani, correndo incontro ai nuovi