Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 249 — |
Capitolo Ottavo.
La logica delle medaglie.
Reduce da quel suo pellegrinaggio a Roma, da cui tanta gioja e tanta luce di sogni gloriosi s’era promesso di riportare a Valsanìa per i suoi ultimi giorni, Mauro Mortara, dopo la visita a donna Caterina Laurentano morente, a testa bassa, senza arrischiar neppure un’occhiata intorno, quasi avesse temuto d’esser deriso dagli alberi, ai quali per tanti anni aveva parlato delle sue avventure, della grandezza e della potenza derivate alla patria dall’opera dei vecchi suoi compagni di cospirazione, d’esilio, di guerra, era andato a cacciarsi nella sua stanza a terreno, come una fiera ferita a morte, nel suo covo.
Invano don Cosmo, per circa una settimana, aveva cercato di scuoterlo, di farlo parlare, compreso di quella sua pietà sconsolata per tutti coloro, che giustamente rifuggivano dal rimedio, ch’egli aveva trovato per guarire d’ogni male. Alle sue insistenze, che almeno salisse a la villa per il desinare e per la cena, Mauro aveva risposto, scrollandosi:
— Corpo di Dio, lasciatemi stare!
— E che mangi?
— Le mani, mi mangio! Andatevene!