Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 246 — |
litarmente, ma senza armi, non gli andò più via per tutto il tempo che durò la visita.
Sorridendo ascoltò sotto le colonne del vestibolo esterno la risposta di capitan Sciaralla, impostato su l’attenti, che le armi, nossignore, non erano state consegnate all’autorità, ma si tenevano riposte per prudenza; sorridendo accolse l’invito di Liborio d’accomodarsi nel salone e, poco dopo, l’irrompere come una bufera de la sorella Adelaide e le prime domande affannose, tra il pianto, intorno a Dianella.
— Mah.... fa cura d’amore, — le rispose.
E sorrise allo sbalordimento quasi feroce de la sorella, per la sua placida risposta.
— Ridi?... Dunque può guarire?
— Guarire.... Speriamo! La cura è buona....
Sorrise di più alle improperie, che donna Adelaide gli scagliò in un impeto aggressivo, e poi alla rappresentazione di tutte le ambasce, di tutte le sofferenze e dei maltrattamenti, ch’ella chiamava “pestate di faccia„, da parte del marito.
— Bada, Flaminio! — proruppe a un certo punto la sorella, vedendolo sorridere a quel modo. — Bada! Io faccio una pazzia!
Egli la guardò un poco, e poi, aprendo le braccia:
— Ma perchè? Scusa, se hai una bellissima cera!...
A questa uscita, la sorella scappò via come per porre a effetto, subito subito, la minaccia.
E allora, attendendo che entrasse il principe per la seconda scena, sorrise ai ritratti dei due re di Napoli e Sicilia, che lo guardavano con molta serietà dall’alto della parete.
Don Ippolito, scuro in viso e, dentro, in gran pensiero per la sorte del figliuolo, di cui non aveva più notizie, entrò nel salone, maldisposto anche lui a quell’incontro, dal quale l’unico bene che potesse ri-