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come un foglio sporco di spropositi, e strapparla per lungo o per largo, dieci, venti, trenta volte, pezzo per pezzo, lentamente.
Con uno sbuffo aveva sparpagliato su la scrivania e per terra tutti quei minuzzoli, e s’era alzato.
Guardando dai vetri del balcone la distesa ben nota, sempre uguale, delle campagne; le due scogliere lontane di Porto Empedocle, protese nel mare laggiù, a occidente, come due braccia; le macchie scure dei piroscafi ancorati, e immaginando il traffico di tanta gente lì a’ suoi servizii, per l’imbarco dello zolfo delle sue miniere, accatastato su la spiaggia, s’era sentito soffogare da tutte le noje, da tutti i pensieri, che da anni e anni gli venivano da quel traffico, per lui ormai superfluo, necessario a tanti, che ne traevano i mezzi per provvedere ai meschini bisogni quotidiani e affrontar le miserie, i dolori, di cui è intessuta la loro vita e quella di tutti. E s’era messo a pensare che, lui sazio e stanco, con la nausea della sazietà e l’abbandono della stanchezza, restava lì, come disteso, a farsi mangiare da tanti irrequieti affamati, di cui non gl’importava nulla. Ma avrebbe potuto forse impedirlo? L’opera sua, di tutta la sua vita, aveva preso corpo fuori di lui, e stava lì per gli altri. Poteva forse quella distesa di campagne impedire che tanti uomini vi affondassero le zappe e gli aratri, vi piantassero gli alberi e ne raccogliessero i frutti? Così era ormai di lui. E, come la terra, egli non sentiva alcuna gioja del lavoro che gli altri facevano sopra di lui per raccogliere il frutto; nè questi altri, quantunque gli camminassero sopra, potevano dargli compagnia, penetrare, rompere la sua solitudine, che aveva ormai l’insensibilità della pietra.
Sentiva solamente un enorme fastidio di tutto,