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Ninì, così soprappreso, restò in mezzo alla stanza a guardare il fratello e don Jaco e donna Fana, come insensato.

Aveva veramente dipinta nel volto, che di solito esprimeva la bontà mite e gentile dell’animo, una torbida angoscia, e i begli occhi neri, vellutati, erano intensi di tetro cordoglio, eppur quasi smemorati.

Come seppe che cosa si voleva da lui e per qual fino, s’adontò fieramente, agitando le braccia, col volto atteggiato di nausea, di schifo. Don Jaco da una parte, donna Fana dall’altra, cercarono di calmarlo, d’interrogarlo con garbo; ma invano: si storceva, scotendo il capo, con un grido soffocato in gola.

— Ma dite almeno se c’è qualche speranza, per tranquillare vostro fratello! — gli gridò alla fine don Jaco a mani giunte.

Ninì lo guatò con un lampo strano negli occhi. Ma se non ci fosse più alcuna speranza di richiamare alla ragione, alla vita, Dianella, che sarebbe più importato a lui della rovina della casa, della miseria, di tutto? Era mai possibile che qualcuno potesse sperar la salvezza di Dianella, soltanto per questo, per salvar dalla rovina la casa? che tutto il suo impegno, il suo supplizio dovessero per quella gente servire a questo scopo? Ecco, lo costringevano a gettare la sua speranza come un’offa per placar la paura di quella miseria! Ebbene, sì, c’era una speranza, c’era, c’era....

E Ninì, coprendosi il volto, ruppe in uno stridulo pianto convulso.