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con questa furia.... Vede come trema tutto? Lasci fare! Chiamerò qualcuno dal balcone....

— Chi chiamate? Non v’arrischiate.... — s’era messo a urlare, paonazzo in volto, Vincente, quando dalla porta, sempre aperta di giorno, comparve don Jaco Pacia, con la sua solita aria di santo, caduto dal cielo in un mondo di guaj e d’imbrogli, a cui or ora, piano piano, con l’ajuto di Dio, egli avrebbe ridato ordine e pace.

Era lungo e secco, come di legno, con la faccia squallida, segnata con trista durezza dalle sopracciglia nere, ad accento circonflesso, in contrasto col largo sorriso scemo, beato, sotto gl’ispidi baffi bianchi. Gli occhi, dalle pàlpebre stirate come quelle dei giapponesi, non scoprivano il bianco e restavano opachi e come estranei alla durezza di quegli accenti circonflessi e alla scema beatitudine dell’eterno sorriso. Con le braccia raccolte sempre sul petto e le grosse mani slavate e nocchierute prendeva atteggiamenti di umiltà rassegnata.

Udito di che si trattava, prese sopra di sè l’affare di quel fucile, e disse che aveva, non una, ma cento ragioni don Tinuzzo di costernarsi così. Sicuro, era un’arma! E, Dio liberi, in un momento come quello.... Momento terribile per tutta la Sicilia! Ma c’era lui, c’era lui, lì, per quei due bravi giovanotti e, con l’ajuto di Dio, niente paura, da questa parte! I guaj, guaj grossi, erano invece da un’altra.

E cominciò a rappresentare tutte le sue fatiche per rintracciare gl’incartamenti delle terre di Milione, prima all’Archivio notarile, poi nella cancelleria del tribunale e in quella del Vescovado per tutti i piccoli e grossi censi che gravavano su quelle terre. Ora gl’incartamenti erano pronti e in ordine dal notajo; ma don Flaminio Salvo non voleva pagar