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dalla ruggine, ma sempre arma era! E fors’anche carica e pronta a sparare.... Si vedeva la pietra focaja; e l’acciarino, eccolo lì, pendeva da una catenella....
— Ebbene, prèndila e va’ a consegnarla! — gli aveva gridato, scrollandosi, il giorno avanti. Ninì, che aveva ben altro da pensare in quei momenti, nelle rare comparse che faceva in casa, tutto stravolto e impaziente di ritornare al. suo supplizio, presso Dianella.
Egli, Vincente, avrebbe preteso che Ninì perdesse una mezza giornata, nelle condizioni d’animo in cui si trovava, per chiedere informazioni su quell’arma. Una parola, prenderla! E se scoppiava? Consegnarla, poi, a chi, dove? Alla Prefettura? al Municipio? al Commissariato di polizia? Egli non ne sapeva niente; e ad andare a domandarlo.... così, fingendo d’averne curiosità, dopo due giorni, c’era il rischio di far nascere qualche sospetto e d’attirarsi una perquisizione in casa.
Lo stato d’assedio aveva messo e teneva Vincente De Vincentis in tale orgasmo, da fargli vedere ovunque minacce e pericoli terribili. S’era proposto di non uscir più di casa, fintanto che fosse durato. Ma se, per il maledetto vizio di donna Fana di chiamare a parte tutto il vicinato d’ogni minimo incidente in famiglia, la polizia fosse venuta a sapere di quell’arma?
All’improvviso, la vecchia casiera lo vide uscire, frenetico, dalla camera in cui stava chiuso, con le braccia in aria e gridando:
— Scoppii! m’ammazzi! non me n’importa niente! Vado a prenderlo, vado a prenderlo io!
— Per carità, lasci, don Tinuzzo! — esclamò donna Fana, correndogli dietro. — Non sia mai, Dio,