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una ve n’era, foderata di chiara stoffa celeste, piccola, così piccola, che a Lando sorse, nel dubbio, la speranza che almeno quella non fosse della strage. Guardò il custode, che vi si era affisato, e dal modo con cui la mirava comprese che, sì, anche quella.... anche quella.... Glielo domandò, e il custode, dopo avere un po’ tentennato il capo, rispose:
— Una ’nnuccenti.... (Una fanciullina).
— Si può vederla?
Lino Apes, rivoltato e su le spine, si ribellò:
— No, lascia, via, Lando! Non vedi? La cassa è inchiodata....
— Oh, per questo.... — fece il custode, togliendo di tasca un ferruzzo. — Devo schiodarla per il giudice istruttore. Ci vuol poco....
E si chinò a schiodare il lieve coperchio, con cura per la gentilezza di quella stoffa celeste. I chiodi si staccavano docili dal legno molle, a ogni spinta.
Scoperchiata la piccola bara, vi apparve dentro la fanciullina non ancora irrigidita dalla morte, ancora rosea in viso, con la testina ricciuta, un po’ volta da un lato, e le braccia distese lungo i fianchi. Ma la boccuccia rossa era coperta di bava e dal nasino le colava una schiuma sanguigna, gorgogliante ancora, a intervalli che pareva avessero la regolarità del respiro.
— Ma è viva! — esclamò Lando, con raccapriccio.
Il custode sorrise amaramente:
— Viva? — e ripose il coperchio.
La avrebbe fatta andar via ancora viva quella mamma, che così la aveva pettinata e acconciata, che con tanto amore aveva adornato di quella chiara stoffa celeste la piccola bara?
— Questo hanno fatto.... — mormorò Lando.
E Lino Apes e il custode credettero ch’egli al-