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del paese, finchè, uscendo dalla piazza e imboccando una strada angusta, che la fronteggiava, vi aveva trovato otto soldati e quattro carabinieri appostati. L’ufficiale che li comandava (non per niente si chiamava Colleoni) aveva preso questo partito con strategia sopraffina, perchè la folla inerme, lì calcata e pigiata, alle intimazioni di sbandarsi, non si potesse più muovere; e lì non una, ma più volte, aveva ordinato contro di essa il fuoco. Undici morti, innumerevoli feriti, tra cui donne, vecchi, bambini. Ora, tutto era calmo, come in un cimitero. Solo, qua e là, il grido dei parenti, che piangevano gli uccisi, e i gemiti dei feriti.

— Ti basta? — domandò Lino Apes a Lando.

Questi si volse al vecchio contadino, che aveva dato quei ragguagli e che, paragonando il paese a un cimitero, aveva indicato una collina lì presso, su cui sorgevano alcuni cipressi, e gli domandò:

— Sono lì?

Il vecchio contadino, con gli occhi aguzzi d’odio e intensi di pietà, crollò più volte il capo; poi tese le dita delle due mani deformi e terrose, per significare prima dieci e poi uno; e con lo sguardo e col silenzio, che seguì a quel muto parlare, espresse chiaramente, ch’egli li aveva veduti.

Lando si mosse verso la collina.

— Ho capito! — sospirò Lino Apes. — Ora divento Orazio.... Seconda rappresentazione: Amleto al cimitero.

Nel piccolo, squallido camposanto su la collina, tranne il custode freddoloso, con un leggero scialle di lana appeso a le spalle, non c’era nessuno. Seduto su uno sgabelletto, a sinistra dell’entrata, quegli stava a guardare apaticamente, nel silenzio desolato, le casse schierate per terra innanzi a sè, come un pa-