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adottate all’improvviso dal governo, era sorto nell’animo di Lando più fermo il convincimento dello sbaglio commesso da’ suoi amici. L’antico, profondo malcontento dei Siciliani era d’un tratto diventato ovunque fierissima indignazione: per quanto i più alti ordini sociali fossero spaventati dalle agitazioni popolari, ora, di fronte a quella sopraffazione militare, a quell’aria di nemico invasore della milizia, che aboliva per tutti ogni legge e sopprimeva ogni garanzia costituzionale, si sentivano inclinati se non ad affratellarsi con gli infimi, se non a scusarli, almeno a riconoscere che, in fine, questi finora, nei conflitti, avevano avuto sempre la peggio, nè mai s’erano sollevati a mano armata, e che, se a qualche eccesso erano trascesi, vi erano stati crudelmente e balordamente aizzati dagli eccidii. La nativa fierezza, comune a tutti gli isolani, si ribellava a questa nuova onta che il governo italiano infliggeva alla Sicilia, invece di un tardo riparo ai vecchi mali; e per tutto era un fremito d’odio alle notizie che giungevano, di paesi circondati da reggimenti di fanteria, da squadroni di cavalleria, per trarre in arresto a centinaia, senz’alcun discernimento, con furia selvaggia, ricchi e poveri, studenti e operai, e qua consiglieri e là maestri e segretarii comunali, e donne e vecchi e finanche fanciulli: soppressa la stampa; sottoposta a censura anche la corrispondenza privata; tutta l’isola tagliata fuori dal consorzio civile e resa legata e disarmata all’arbitrio d’una dittatura militare.

Come un cavallo riottoso, cacciato contro sua voglia lontano dagli ostacoli che avrebbe voluto superare, a un tratto, investito da una raffica turbinosa, aombra e s’impenna e recalcitra, fremendo in tutti i muscoli, Lando Laurentano, investito dalla