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le altre provincie. Se fossero riusciti a traversarla tutta, si sarebbero rifugiati a Valsanìa, e di là si sarebbero imbarcati per Malta, o per Tunisi. Sarebbe piaciuto a Lando di spatriare a Malta, luogo d’esilio di suo nonno, non perchè ardisse di comparar la sua sorte a quella di lui, ma perchè da un pezzo aveva in animo di recarsi a Bùrmula a rintracciarne, se gli fosse possibile, i resti mortali, con le indicazioni di Mauro Mortara, non ben sicure, veramente, poichè il seppellimento era avvenuto nella confusione della gran morìa a Malta nel 1852.

Invano Lino Apes, pigliando pretesto dagli incidenti e dai disagi della fuga precipitosa, ora a piedi, ora su carretti senza molle, ora su vetturette sgangherate, su per monti, giù per vallate, in cerca di cibo e di ricovero, aveva tentato di dimostrare agli amici che, dopo tutto, quello che facevano non era una cosa tanto seria, di cui, volendo, non si potesse anche ridere. Era, per esempio, lo strappo alle loro illusioni una ragione sufficiente, perchè non si dèsse alcuna importanza a quello che egli s’era fatto ai calzoni, scendendo da un carretto? Più vecchie di Tiberio Gracco, quelle illusioni; e i suoi calzoni erano nuovi! Dove aveva lasciato Cataldo Sclàfani il pacco della sua magnifica barba? Niente meglio che un pelo di quella barba — pensando filosoficamente — avrebbe potuto rammendare i suoi calzoni! Lo squallido aspetto dei luoghi, nella desolazione invernale, la costernazione per il cammino incerto e faticoso, l’ansia di apprendere notizie qua e là, di quanto era accaduto dal momento della loro fuga, avevan lasciato senz’eco di riso le arguzie di Lino Apes.

Dalle impressioni a mano a mano raccolte, internandosi sempre più, su quelle misure eccezionali