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Le vittime.


Correndo a Colimbètra, Monsignor Montoro non supponeva di certo, che sentimenti molto simili a quelli espressi da lui con tanta untuosità letteraria nella sua pastorale, agitavano l’animo d’uno di coloro ch’egli aveva poc’anzi chiamato pazzi.

Al primo contatto diretto di quei così detti compagni, alle ripercussioni più vicine e più frequenti degli episodii sanguinosi di quella sollevazione popolare che, pur avendo nella miseria, nelle gravezze intollerabili, nelle angherie e nei soprusi d’ogni sorta i pretesti più giusti, non poteva in alcun modo assumer corpo e ingigantire e imporsi, priva com’era d’un’anima davvero cosciente della propria forza e de’ proprii diritti, Lando Laurentano s’era veduto chiamato dagli amici in Sicilia a rispondere, se non d’un vero delitto, poichè non poteva diffidare della loro buona fede, certo d’una enorme pazzia. Sempre per quella infatuazione esteriore, dovuta forse in gran parte al calore della terra: infatuazione, che dava tanta teatralità di voce e di gesti alla vita dei suoi compaesani, e di cui egli — volontariamente rigido — aveva avuto sempre un così aspro dispetto!

Come avevano potuto illudersi i suoi amici d’esser riusciti in pochi mesi, con le loro prediche, a rompere quella dura scorza secolare di stupidità armata di diffidenza e d’astuzie animalesche, che incrostava la mente dei contadini e dei solfarai di Sicilia? Come avevano potuto credere possibile una lotta di classe, dove mancava ogni connessione e saldezza di principii, di sentimenti e di propositi,