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E Monsignore, dentro gongolante, ma fuori con un’aria di stanca condiscendenza, abbassando su i chiari occhi ovati quelle sue pàlpebre lievi come veli di cipolla, e crollando il capo in segno di affermazione, e facendo cenno con la mano d’aspettare, cercava nel foglio e ripeteva:

— Malvagia e ria setta.... malvagia e ria setta, che a suo architetto ha scelto il demonio, a gerofante il giudeo....

— Ah, ecco! A gerofante il giudeo! — esclamavano quelli. — Stupenda espressione, Eccellenza! stupenda....

— Gagliarda.... gagliarda....

— Ma che ventaccio, buon Dio! — riprendeva a lamentarsi il vescovo, afflitto, come d’un ingiusto compenso al merito di quella sua fatica.

I più giovani canonici, intanto, che più di tutti avevan prestato ascolto alla lettura, si scambiavano tra loro occhiate di disgusto per quei vecchi e sciocchi piaggiatori, o di dolorosa rassegnazione per l’accoglienza che il popolo avrebbe fatto a quel vaniloquio, che s’aggirava tutto quanto attorno a una non più ingenua che crudele domanda, che i reverendi parroci avrebbero dovuto rivolgere ai poveri della diocesi: perchè mai la miseria, che sempre era stata e sempre sarebbe stata, solamente ora perturbasse così gli animi e gli ordini e prorompesse in così deplorabili eccessi.

Pareva ad alcuni di quei giovani prelati, che Monsignore avrebbe potuto almeno parafrasare per gli avvenimenti dell’isola l’enciclica recente di S. S. Leone XIII, De conditìone opificum, nella quale era pur detto che i proprietarii dovessero cessare dall’usura aperta o palliata, e dal tener gli operai in conto di schiavi, e dal trafficare sul bisogno dei miseri, in-