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Capitolo Settimo.


“Semper pauperibus habetis vobiscum„.


Nella vasta sala sonora dell’antica cancelleria nel palazzo vescovile, dal tetro soffitto affrescato e coperto di polvere, dalle alte pareti dall’intonaco ingiallito, ingombre di vecchi ritratti di prelati, coperti anch’essi di polvere e di muffa, appesi qua e là senz’ordine, sopra armarii e scansìe stinte e tarlate, si levò un brusio d’approvazioni appena Monsignor Montoro con la sua bella voce, dalle inflessioni misurate, quasi soffuse di pura autorità protettrice, finì di leggere al capitolo della cattedrale e a molti altri canonici e beneficiali lì apposta radunati, la pastorale ai reverendi parroci della diocesi su i luttuosi avvenimenti, che funestavano la Sicilia e contristavano ogni cuor cristiano.

Da un versetto di San Matteo, Monsignore aveva intitolato quella sua pastorale: Semper pauperibus habetis vobiscum....

Era una giornataccia rigida e ventosa di gennajo; e più volte, durante la lettura, il vescovo, irritato, e anche gli ascoltatori avevan rivolto gli occhi ai vetri dei finestroni, che pareva volessero cedere, stridendo, alla furia urlante della libecciata. Tutta la let-