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Poco dopo mezzogiorno, rientrando a Colimbètra, stanco della lunga cavalcata, sorprese nel salone Capolino e donna Adelaide in fitto colloquio: questa, accesa e in lacrime; quello, pallido e in fervida agitazione. S’arrestò su la soglia, con un piglio più di nausea che di sdegno.

— Oh, Principe.... — fece subito Capolino, levandosi in piedi, smarrito.

— State, state.... — disse don Ippolito, protendendo una mano, più per impedirgli d’accostarsi, che per fargli cenno di restar seduto. — Non vi chiedo scusa del ritardo, perchè la signora, vedo.... mi avrà dipinto anche a voi per un così barbaro uomo, che non vi sarete doluto, se vi è mancata finora la mia compagnia....

— No.... la.... la principessa... veramente.... — barbugliò Capolino.

Don Ippolito s’impostò fieramente e disse con ferma, accigliata freddezza:

— Può andare, se vuole. Ma sappia, che ciò che oggi le impedisce di uscire dal cancello de la mia villa, le impedirà domani di rientrarvi. E ora seguitate pure la vostra conversazione.

Si mosse per uscire dal salone. Capolino tentò di sostenere, innanzi alla donna, la sua dignità maschile, e gli disse dietro, quasi con aria di sfida, ma che poteva anche parer di scusa:

— Voi, principe, mi avete fatto chiamare....

Don Ippolito, già arrivato all’uscio, si voltò appena, tenendo scostata con la mano la portiera:

— Oh, per una cosa da nulla, — disse. — Ormai.... ubbie! ubbie!

E passò, lasciando ricadere la portiera.

— La risposta.... la risposta.... — proruppe subito Donna Adelaide, alzandosi, soffocata, con gli occhi