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come Napoli poteva offrirle. A Roma, si poteva senza chiasso centrar le nozze civili. Francesco Vella avrebbe trovato modo di farlo entrare in qualità d’avvocato consulente nell’amministrazione delle ferrovie; e non era detto che non dovesse piacergli, che egli, divenuto di nuovo suo cognato, restasse con quella medaglietta ciondolante sul panciotto. Col tempo, anche Flaminio Salvo, per intercessione di don Francesco e di donna Rosa, si sarebbe forse placato e non gli avrebbe attraversato la via.

Il vero punto, adesso, era persuadere Adelaide d’affrontar lo scandalo della fuga, in quel momento sciagurato della pazzia della nipote. Ma Monsignor Montoro gli aveva detto, che il principe proibiva assolutamente alla moglie di recarsi a Girgenti, anche per una visita, in casa del fratello. Un’altra congiuntura maravigliosamente propizia era nell’opera pietosa offerta da quel caro Ninì De Vincentis alla povera ragazza. Che se Dianella fosse stata portata a Colimbètra, presso la zia, come il principe aveva proposto, altro che pensare alla fuga, egli non avrebbe potuto più neanche mettervi il piede! Ma poteva bastare ad Adelaide questa vaga speranza, questa magra consolazione da lontano, di sapere inginocchiato innanzi alla nipote demente quel povero San Luigi? In fondo tutto quell’ardore, per quanto sincero, di visitare la nipote, doveva essere un pretesto per uscir da Colimbètra. Le ragioni delle sue smanie perduravano tutte, esacerbate per giunta da quella proibizione. Nè Flaminio Salvo si sarebbe mai indotto a persuadere il principe di concedere a la sorella quell’uscita. Bisognava insistere su questo punto, dimostrare ad Adelaide che il fratello non era uomo da venir meno ai patti stabiliti col principe, per nessuna considerazione; co-