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darsi uno sfogo, diceva e faceva cose contrarie alla sua natura.

Le sue smanie divennero più furiose che mai, come seppe ch’erano ritornati da Roma suo fratello Flaminio e Dianella, A monsignor Montoro, sceso a Colimbètra in visita di condoglianza per la morte di donna Caterina, domandò con gli occhi gonfi e rossi dal pianto, se gli pareva umano che le si proibisse d’andare a vedere e ad assistere la nipote, a cui aveva fatto da madre!

Don Ippolito, in quel momento non era in villa. S’era recato al camposanto di Bonamorone, poco discosto da Colimbètra, a pregare su la fossa de la sorella. Quando entrò, scuro, nel salone, finse di non vedere il pianto della moglie, e al vescovo che gli si fece innanzi, compunto, con le mani tese, disse:

— È morta disperata, Monsignore. Disperata. Il figlio, in carcere, compromesso vergognosamente, con tanti altri di questi patrioti, nella frode delle banche. E quel Selmi, venuto qua padrino avversario del Capolino, ha saputo? si è ucciso. Scontano tutti le loro belle imprese! È lo sfacelo, Monsignore! Dio abbia pietà dei morti. Io mi sento il cuore così arso di sdegno, che non mi è possibile pregare. Un bruciore, un fremito ai ginocchi m’ha fatto levare dalla fossa della mia povera sorella, e mi sono domandato, se questo era il momento di pregare e di piangere, o non piuttosto d’agire. Monsignore! d’agire! d’agire! Ma dobbiamo proprio rimaner così inerti, mentre tutto si sfascia e le popolazioni insorgono? Ha sentito, ha letto nei giornali? Le folle hanno un bell’essere incitate da predicazioni anarchiche, scendono in piazza a gridare contro la gravezza delle tasse, recando ancora innanzi il Crocefisso e le immagini dei Santi!