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Sul primo dei tre ripiani fioriti innanzi a la villa c’era da più che cent’anni un olivo saraceno, il cui tronco robusto, pieno di groppi e di nodi, per contrarietà dei venti o del suolo, cresciuto di traverso, quasi a un palmo da terra, pareva sopportasse con pena infinita i molti rami, sorti lungh’esso alti e rigogliosi. Nessuno aveva potuto levar dal capo a donna Adelaide che quell’albero, così pendente e gravato da tutti quei rami, soffrisse.

— Oh Dio, ma non vedete? soffre! ve lo dico io, che quell’albero soffre!

E lo aveva fatto atterrare. Atterrato, guardando il posto dov’esso prima sorgeva:

— Ah! — aveva rifiatato. — Poverino, così va bene! L’ho liberato.

Nè s’era fermata qui. Altre prove di buon cuore aveva dato, le sere senza luna, durante la cena, verso le bestioline alate, che il lume del lampadario attirava nella sala da pranzo.

Un certo Pertichino, ragazzotto di circa trediic anni, figlio del sergente delle guardie, era incaricato di star dietro la sedia di donna Adelaide e di dar subito la caccia a quelle bestioline, appena entravano. Se non che, Pertichino spesso si distraeva nella contemplazione dei grossi guanti bianchi di filo, in cui gli avevano insaccato le mani; e donna Adelaide, ogni volta, doveva strapparlo a quella contemplazione con strilli e sobbalzi per lo springare di qualche grillo o per il ronzare di qualche parpaglione.

— Niente! Farfalletta.... Non si spaventi! Eccola qua, farfalletta....

— Povera bestiola, non farla patire: tirale subito la testa; se no, rientra.... Fatto?

— Fatto, Eccellenza. Eccola qua....