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timento della vettura, senza mai farsi scorgere. C’era anche quel giovanotto, il Del Re? Bene: tutti e tre, appartati, nascosti. Mauro e Dianella sarebbero stati soli, nello scompartimento attiguo: tutt’intera una vettura sarebbe stata a loro disposizione.

Fu men difficile, a tali condizioni, persuadere Mauro a render questo servizio al Salvo. Quando seppe, che nè ora, a casa Vella, nè poi, durante tutto il tragitto, lo avrebbe veduto, e che non si trattava tanto di rendere un servizio a lui, quanto un’opera di carità a quella povera fanciulla demente, si arrese aggrondato, e andò avanti con Raffaele in casa Vella.

Non ci fu bisogno nè di preghiere nè di esortazioni: appena Dianella rivide Mauro, balzò dal nascondiglio e tornò a riaggrapparsi a lui, incitandolo a fuggire insieme. Si dovette all’incontro stentare a trattenerla un po’ per rassettarla alla meglio, ravviarle i capelli scarmigliati, metterle un cappello in capo, perchè almeno non desse tanto spettacolo alla gente, in compagnia di quel vecchio già per suo conto così stranamente parato.

Quando tutti e due, tenendosi per mano, l’uno con quel viso di selvaggio scombujato e quello zainetto a le spalle, l’altra con quegli occhi e quella bocca agitati da un’ilarità squallida e vana, con quei capelli cascanti, scompigliati sotto il cappello assettato male sul capo, attraversarono il salone per andarsene, chi li vide, ebbe chiara l’immagine, che, essendo quei due venuti a Roma, in quel momento, l’una con l’amore, l’altro con la patria nel cuore, non se ne potessero andar via, se non così.

Che discorsi tennero tra loro, nel viaggio?

Dietro l’usciolino dello scompartimento, il Salvo e il Laurentano, or l’uno or l’altro li intesero con-