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era quell’altro accanto? Ah, Leonardo Costa! il padre! il padre! — Ah povero padre, con quella cassetta là, davanti!

Un urlo di pietà, di raccapriccio si levò da tutta la folla a la vista di quel padre, che pareva impietrato in una espressione di rabbia, ma come stupefatta nell’orrore; con gli occhi fissi su quella cassetta, quasi chiedesse come poteva esser là il suo figliuolo, la sua colonna! Ma che poteva dunque esser restato, del suo figliuolo, se due corpi, due, erano là, due? Le teste sole? Forse, spiccate, sì, e qualche membro, arsicchiato. Oh Dio! oh Dio!

E quasi tutti piangevano, e tanti singhiozzavano forte.

Udendo quegli urli, quei singhiozzi, Leonardo Costa, passando, levò un urlo anche lui, esalò la ferocia del suo cordoglio in un ruglio, che non aveva più nulla d’umano; poi s’abbattè, si contorse, tra le braccia del commissario di polizia.

La carrozza s’arrestò alla voltata della piazza, dove sorge il palazzo della Prefettura, sede anche del Commissariato di polizia. Due guardie presero la cassetta; il cavalier Franco ajutò Leonardo Costa a smontare. Il povero vecchio, per quanto massiccio, non si reggeva più su le gambe; un’orecchia gli sanguinava, perchè alla stazione, in un impeto di rabbia, s’era strappato uno dei cerchietti d’oro. Altre guardie si schierarono innanzi al portone, per impedire a la folla d’invadere l’atrio del palazzo.

E la folla restò lì davanti, irritata, delusa, insoddisfatta. Che sarebbe avvenuto adesso? Era tutto finito così? Sarebbe rimasta lì, nel commissariato, quella cassetta? Non si farebbe il trasporto al camposanto di Bonamorone? C’era lì la gentilizia della famiglia Spoto. Ormai più nessuno restava di quella