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gli si fosse imposto; si mostrò imbarazzato li tra gente che aveva per sè una sciagura ben più grave.
— Vada, vada, — s’affrettò a dirgli Flaminio Salvo, tendendogli una mano e posandogli l’altra a tergo per accompagnarlo.
— Le auguro, — gli disse allora Lando, — che sia un disturbo passeggero questo della sua figliuola.
Flaminio Salvo socchiuse gli occhi e negò col capo:
— Non mi faccio illusioni.
E rientrarono nel salone, così, con le mani afferrate.
Mauro Mortara, già da un pezzo esasperato, soffocato, ancora con la povera fanciulla demente aggrappata al petto, non seppe trattenersi a quello spettacolo: si scrollò, con un muggito nella gola, e gridò alle due donne che gli stavano attorno:
— Tenetela.... prendetevela.... Gli dà la mano.... Non posso vederlo.... Sapete come si chiama? Ha il nome di suo nonno: Gerlando Laurentano!
E, strappandosi dalle braccia di Dianella, scappò via.
Flaminio Salvo schiuse le labbra a un sorriso amaro, più di commiserazione derisoria, che di sdegno; e, alle scuse che gli porgeva Lando Laurentano, rispose:
— Contagio.... Niente, principe.... La pazzia purtroppo, si sa, è contagiosa....