Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 154 — |
la sua esistenza era compiuto; ed egli, in quel vuoto arido orrido, restava padrone, senza più nulla da temere. La morte non la temeva. Era ormai sopra di tutti e di tutto.
E guardò il brillio della grossa pietra preziosa dell’anello nel tozzo mignolo della sua mano pelosa, posata su la gamba. Quel brillio, chi sa perchè, gli richiamò un lembo delle carni di Nicoletta Capolino, che laggiù quei bruti avevano arse. Sollevò il capo, con le nari arricciate. Ah come volentieri avrebbe fumato un sigaro! Ma pensò che non poteva fumare, perchè in quel momento sarebbe sembrato scandaloso. Sentì che Francesco Vella diceva a Lando Laurentano:
— Ma sì, è certo: erano fuggiti! Partiti da quattro giorni, arrivavano allora appena ad Aragona.... Dove erano stati in questi quattro giorni?
E interloquì, con altra voce, con altro aspetto, come se non fosse più quello di prima:
— Non c’è luogo a dubbio, — disse. — Già l’altro jeri da Napoli m’era arrivata una lettera del Costa, con la quale egli si licenziava da me. È andato dunque a morire per conto suo laggiù: e anche di questo, dunque, posso non aver rimorsi.
Entrò a questo punto Ciccino Vella, come sospeso e smarrito nell’ambascia della notizia che recava e non avrebbe voluto dare.
— Lando, — disse, esitante, — bisogna che ti avverta.... Quel vecchio....
— Mauro?
— Ecco, sì.... era venuto qua col tuo domestico a cercarti per.... dice che.... dice che hanno arrestato Roberto Auriti.
Lando impallidì, poi arrossì, aggrottando le ciglia come per un pensiero che, contro la sua volontà,