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rile ostinazione. Ebbene, la signora Capolino volle profittare di questa mia speranza per render vano quel mio disegno: volle partire col Costa per toglierlo per sempre alla mia figliuola. E il signor Capolino forse sperava che, sposo Aurelio, domani, di mia figlia e già amante di sua moglie, egli potesse seguitare a tenere un posto in casa mia. E ora, ora che tutto gli è crollato così d’un tratto, ha gridato a mia figlia, come mie, le sue macchinazioni! Ma io, vi giuro, signori, io lo schiaccerò, lo schiaccerò.... Seppure.... ormai.... ormai....

Scrollò le spalle, scartò con le mani quella sua minaccia, come se ogni proposito, ora, gli desse un’invincibile nausea, un’uggia soffocante. E andò a buttarsi su una poltrona, cupo; vi rimase, come atterrito a mano a mano dal vuoto arido, orrido, che, dopo quel lungo sfogo, gli s’era fatto dentro.

Nulla: non sentiva più nulla: nessuna pietà, nè affetto per nessuno. Un fastidio enorme, anzi afa, afa sentiva ormai di tutto, e specialmente della parte che doveva rappresentare, di padre inconsolabile per quella sciagura della figliuola, che invece non gli moveva altro che irritazione, ecco, e dispetto, e quasi vergogna, sì, vergogna. Quella smania folle de la figliuola per l’innamorato lo rivoltava come alcunchè di vergognoso. E si domandava con bieca crudezza, se egli avesse mai amato veramente, di cuore, quella sua figliuola. No. Come per dovere la aveva amata. E ora che questo dovere gli si rendeva così grave e penoso, egli non poteva provarne altro che uggia e nausea. Ma sì, perchè era anche fatalmente condannata quella sua figliuola! Non era pazza la madre? E ormai, tutto quello che poteva accadergli, ecco, gli era accaduto. La misura era colma, e basta ormai! Lo sterminio della sorte su