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— Lo amava? Oh figlia....
Lando Laurentano e don Francesco Vella si portarono di là Flaminio Salvo.
— Ditemi, ditemi che vi hanno fatto, — seguitò Mauro, rivolto a Dianella, con tenerezza quasi rabbiosa. — Ora andiamo da Aurelio.... Ma ditemi che vi hanno fatto! Chi è il lupo, che lo ammazzo? Chi è il lupo? — domandò agli altri con un viso fermo, che diceva chiaramente, che se davvero ce n’era uno, che aveva fatto male a quella povera agnellina, era pronto a saltargli addosso.
Ma nessuno sapeva con certezza, che cosa fosse accaduto, a chi veramente alludesse Dianella con quel suo grido. Pareva al padre; ma poi, chi sa? Forse lo scambiava per un altro. Era stato lì, durante la loro assenza, Ignazio Capolino. Dianella era rimasta in casa, lei sola, perchè si sentiva poco bene; e certo sopra di lei Capolino, senza misericordia, forsennato per l’orrenda sciagura, aveva dovuto rovesciar la furia della sua disperazione. Ciccino e Lillina, che erano stati i primi a rincasare, gli avevano sentito gridare:
— Tuo padre! tuo padre, capisci?
Ma al loro entrare, quegli era scappato via, furibondo, lasciando questa poveretta come insensata, come intronata da tanti colpi spietati alla testa; e, subito dopo, ella, dando segni di terrore, s’era messa a urlare: — Il lupo!... il lupo!...
Che le aveva detto Capolino?
Uno solo poteva saperlo, così bene come se fosse stato presente alla scena: Flaminio Salvo, che di là, tra Lando Laurentano e il cognato Francesco Vella, sentiva prepotente il bisogno di confessare il suo rimorso, ma che tuttavia, senza che potesse impedirlo, si scusava accusandosi.