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e provò subito un brivido d’orrore. Ma, come se di lassù una voce severamente Io richiamasse, egli si riprese e a quella voce rispose che sì, quel suo corpo, egli lo avrebbe tra poco ucciso, senza esitare.

Passato il ponte di ferro, udì strillare da alcuni giornalai un’edizione straordinaria del foglio più diffuso di Roma. Pensò che fosse per lui, e fece fermar la vettura, e comprò quel foglio. Difatti, in prima pagina era il resoconto della seduta parlamentare, e nella sesta colonna spiccava in cima il suo nome,

CORRADO SELMI


come titolo dell’articolo del giorno. Prese a leggerlo; ma presto n’ebbe un fastidio strano: avvertì che quello era già per lui un linguaggio vuoto e vano, che non aveva più alcun potere di muovere in lui alcun sentimento, quasi fatto di parole senza significato. Gli parve che lo scrittore di quell’articolo non avesse altra mira che quella di dimostrare ch’egli era vivo, ben vivo, e che, come tale, poteva e sapeva giocar con le parole, perchè gli altri vivi, i lettori, potessero dire: — Guarda com’è bravo! guarda com’è ingegnoso!

Quel foglio, coì leggero, gli parve a un tratto, con quel suo nome stampato lì in cima, una lapide, la sua lapide, ch’egli stesso per uno strano caso si portasse in carrozza, diretto alla fossa; strana lapide, in cui, anzichè le solite lodi menzognere, fossero incise accuse e ingiurie. Ma che importavano più a lui? Egli stava sotto.

E veramente, quasi per vedere dov’egli stesse, voltò la pagina.

Subito gli occhi gli andarono su un’intestazione