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un ladro davvero? No: piano, riposatamente, senza tremor di mani, senza quell’aridezza in bocca; piano, dopo aver sedato i nervi, e sorridente, egli doveva uccidersi, come a lui si conveniva.

Prese la busta con la dichiarazione e la cacciò entro la cartella; si pose in tasca la boccetta del veleno. Voleva uscir di nuovo, per un’ultima passeggiata, per salutar la vita, scevro ormai d’ogni cura, esente d’ogni peso, libero d’ogni passione, con limpidi occhi e con animo sereno; salutar la vita, sorridere a lei col suo lieve antico sorriso; bearsi per l’ultima volta delle cose che restavano, liete in quel giorno di sole, ignare in mezzo al torbido fluttuare di tanto vicende, che presto il tempo avrebbe travolte con sè. Sì, un ultimo saluto alla vita, a le cose belle che restavano e che egli aveva tanto amate.

E si fece condurre al Gianicolo. Dapprima, come in preda a quello stordimento rombante cagionato da un improvviso otturarsi degli orecchi, non potè avvertire, nè vedere, nè pensar nulla; solo quando passò con la vettura per la via della Lungara, innanzi le carceri di Regina Coeli, pensò che forse a quell’ora Roberto Auriti vi era rinchiuso; ma non volle affliggersene più. Tra poco, con quella sua dichiarazione, ne sarebbe uscito, per seguitare la sua incerta, penosa, indegna esistenza tra quella sua signora Lalla e il Passalacqua e il Bonomè, mentr’egli, invece — ah! si sarebbe liberato!

Giunto alla sommità del colle, gli parve davvero una liberazione quell’altezza, da cui potè contemplare Roma divina, luminosa nel sole, sotto l’azzurro intenso del cielo; liberazione da tutte le piccole miserie acerbe, che laggiù lo avevano offeso e soffocato; dall’urto di tutte le meschine volgarità quo-