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pian piano, rientrò nella camera; gli occhi gli andarono al piccolo specchio ovale, appeso alla parete presso lo stipetto. Aveva dimenticato di guardarsi lì. Scrollò le spalle e tornò indietro, alla scrivania; sedette; trasse da la cartella un foglio e una busta; guardò se su la scrivania ci fosse il cannello di ceralacca e il sigillo; si alzò di nuovo e rientrò nella camera per prendere dal tavolino da notte la bugia con la candela.
La dichiarazione gli venne men breve di quanto aveva divisato, poichè a maggior salvaguardia dell’innocenza dell’Auriti pensò di chiamare in testimonio lo stesso governatore della banca, già anche lui tratto in arresto, col quale, prima di contrarre sott’altro nome quel debito, si era segretamente accordato.
Finito di scrivere, guardò su la scrivania, la boccetta, e sentì mancarsi a un tratto la voglia di rileggere quanto aveva scritto. Gli parvero enormi, tutte le piccole cose che gli restavano ancora da fare: piegare in quattro quel foglio; chiuderlo nella busta; accendere la candela; bruciarvi il cannello di ceralacca; apporre i suggelli.... Si diede a far tutto con esasperazione. Ansava; le dita, senza più tatto, gli ballavano. Stava per chiudere la busta, quando giù dalla via scattò stridulo, sguajato, il suono d’un organetto.
Parve al Selmi che quel suono, in quel punto, gli spaccasse il cranio: si turò gli orecchi, balzò in piedi, contrasse tutto il volto come per uno strazio insopportabile, fu per avventarsi alla finestra a scagliare ingiurie a quel sonatore ambulante.
Ah no, perdio! così, no! al suono d’una volgarissima canzonettuccia napoletana, no, no, no.
Si sentì avvilito da tutta quella furia. O che era